Il peso del private equity sul mercato m&a resta importante in Italia. Secondo gli analisti di EY, stiamo parlando di circa il 40% del valore complessivo dei deal nel 2023, cioè di 38,5 miliardi di euro su un totale di 58,6 miliardi, una percentuale analoga a quella del 2022, sebbene in calo a livello assoluto (65,4 miliardi su un totale di 93,7 miliardi), così come tutta l’attività di m&a a livello internazionale lo scorso anno. Ma nella realtà, il dato vero è ancora più alto, da un lato perché non sempre il valore delle operazioni viene comunicato e dall’altro perché nel calcolo del controvalore complessivo non ci sono gli add-on, cioè le acquisizioni condotte dalle aziende già in portafoglio ai fondi. Un tipo di attività, questa, che i fondi continueranno a perseguire anche nei prossimi anni e che è considerata una strategia di crescita ormai imprescindibile dalla maggior parte degli operatori, soprattutto in Italia, dove molti settori vedono ancora la presenza di tante piccole aziende e quindi hanno spazi importanti per politiche di aggregazione e crescita.
Lo ha raccontato a BeBeez Marco Ginnasi, EY Strategy & Transactions Private Equity Leader Italy, in occasione della seconda puntata di EY M&A Compass, l’approfondimento sul mercato m&a italiano sviluppato da EY insieme a BeBeez. Un tema, quello degli add-on, che era già emerso in termini di numero delle operazioni anche dall’ultimo report di BeBeez dedicato al private equity, che su un totale di 549 operazioni tra investimenti e disinvestimenti, ha mappato ben 207 deal su aziende target italiane e altri 46 deal su aziende estere, il che significa che poco meno del 50% del totale degli investimenti del 2023 sono stati deal in ottica di buy&build. Ginnasi traccia outlook positivo a livello di mercato m&a e private equity in Italia, nonostante le notevoli sfide da dover affrontare dato un assetto geopolitico molto complicato e in continua evoluzione.
Domanda. Come si è comportato il mercato italiano dell’m&a nel 2023 rispetto a quello internazionale?
Risposta. In Italia nel 2023 il mercato ha espresso un solido trend dell’attività di investimento: le transazioni sono state circa 1.210 (sostanzialmente in linea con il 2022) e hanno raggiunto un volume aggregato, ove disponibile il dato, stimabile in circa 58,6 miliardi di euro. Certo, in calodal 2022, ma ricordo che nei due anni prima il livello dell’attività m&a in Italia sia per numero di deal sia per volumi avevano registrato un vero e proprio boom per la ripresa delle attività transazionali dopo il periodo pandemico, mentre lo scorso anno a pesare sulle statistiche per valore è stata la scarsa incidenza di megadeal. Guardando a quanto è accaduto in Europa, Medio Oriente, India e Africa, il quadro non è stato molto diverso: l’attività non ha subito accelerazioni, ma è rimasta lenta per la maggior parte del 2023, con 15.468 operazioni per un totale di quasi 991 miliardi di dollari, registrando un calo del 16% nel volume delle operazioni e del 22% nel valore delle operazioni rispetto al 2022. Il calo peraltro è stato principalmente dovuto al rallentamento dell’attività nella prima parte dell’anno mentre si è stabilizzata nella seconda parte.
D. In questo quadro quanto ha pesato l’attività di private equity in Italia?
R. Il ruolo del private equity come soggetto investitore è cresciuto ulteriormente di rilevanza, con un’incidenza stimata del 40% del totale delle operazioni. Il valore complessivo di acquisizione da parte di fondi di private equity nel 2023 ha raggiunto, ove diffuso, l’ammontare di circa 38,5 miliardi, inferiore rispetto allo stesso periodo di riferimento del 2022 (circa 65,4 miliardi). Le ragioni che hanno portato a questo calo sono diverse: il clima di incertezza geopolitica ha determinato scelte di investimento più prudenti, con una dimensione media dei deal più contenuta. In tale contesto, i fondi di mid-market hanno avuto un ruolo rilevante nel mantenere solida l’attività transizionale in Italia. In particolare si è registrata un’incidenza crescente dei cosiddetti add-on, realizzati dalle portfolio companies dei fondi, tendenza che ci aspettiamo continuerà, con le aziende partecipate che manterranno la strategia di add-on come uno dei pilastri di crescita.
D. Quali sono i settori privilegiati dagli investitori di private equity in Italia?
R. Il mutato scenario macroeconomico ha determinato un leggero cambiamento nei settori di acquisizione. Effettuando un confronto del numero di operazioni per settore realizzate dal private equity nel 2023 e nel 2022, ne risulta che il settore industriale è di gran lunga quello di maggior preferenza dei fondi, anche per effetto di un’elevata qualità delle aziende italiane in tale comparto e dell’accresciuta capacità di export di queste: l’incidenza percentuale del settore industriale è aumentata dal 22% al 28%. ll settore consumer ha visto scendere l’incidenza dei deal dal 17% del 2022 a circa il 15% nel 2023, per le incertezze sulla domanda e le connesse difficili previsioni nel breve e medio termine. Sale l’operatività sia nel settore energy & utilities sia nel business services.
D. Come andrà quest’anno? A livello internazionale vedremo più o meno attività di private equity e di m&a in generale rispetto al 2023?
R. A livello internazionale ci sono molti segnali di ripresa per il mercato nel corso del 2024. Il CEO Outlook Pulse, svolto da EY lo scorso gennaio su un panel significativo di ceo e private equity leaders a livello globale, ha evidenziato come l’imperativo della business transformation porti le aziende a dover accelerare i propri piani di crescita, avendo l’m&a come uno dei pilastri fondamentali. Sempre secondo il nostro osservatorio privilegiato, ceo e private equity leader indicano come i megadeals, che sono mancati nel corso del 2023, torneranno a essere rilevanti nel corso del 2024.
D. E in Italia?
R. La sensazione è la stessa. Anche i private equity leader italiani interpellati per la ricerca si aspettano una moderata ripresa in termini di volumi, soprattutto se supportati da una maggiore stabilità dei tassi di interesse e dell’inflazione. A supporto di tale visione ci sono diversi fattori da considerare. In primo luogo la sfida della business transformation da parte delle aziende italiane, che non può prescindere dall’affrontare i temi della digitalizzazione (generative AI) e dall’energy transition, stimolerà l’ingresso dei fondi di private equity nelle eccellenze italiane come abilitatori e acceleratori del cambiamento. In secondo luogo va considerato che il significativo dry powder (oltre 1.5 trilioni di dollari a livello globale) a disposizione da parte dei fondi continuerà a dare una forte spinta agli operatori di private equity anche su target italiani, dato il sempre maggior interesse al mercato italiano da parte di operatori internazionali. Ho già citato poi la sempre maggiore attività di m&a da parte delle porfolio companies dei fondi, che continueranno lungo questa strada. E infine c’è il tema del vintage dei portafogli sugli investimenti già effettuati da parte dei fondi, che è attualmente leggermente più lungo rispetto al passato (a causa del Covid e di fattori geopolitici), per cui nel prossimo futuro è ragionevole attendersi la partenza di processi di exit sinora rimandati.
D. Sul fronte dei settori, quali saranno i più caldi per l’m&a quest’anno?
R. Sicuramente ancora quello industriale, spina dorsale del tessuto economico italiano. E’ un settore in cui i fondi ricercano le eccellenze italiane da valorizzare, aggregare e far crescere per renderle competitive a livello globale. Su questo filone, sono diverse le iniziative di piattaforma, che vediamo sempre maggiormente attenzionate dai fondi come socio promotore e abilitatore per il consolidamento. E torniamo qui non a caso al tema degli add-on come strumento privilegiato di crescita e creazione di valore da parte dei private equity in Italia.